Henri Jayer, rivive nello spirito “bourguignon”

Documentandosi sulla cultura viticola della Borgogna, o meglio della Côte d’Or, è inevitabile imbattersi nel nome di Henri Jayer.

Henri Jayer è la persona che più ha influenzato la viticoltura di questa regione nella seconda metà del secolo scorso, tracciando la via per una nuova rinascita. Un genio che ha saputo prevedere in anticipo l’evoluzione degli eventi, introducendo pratiche enologiche fino ad allora sconosciute. Una persona con una capacità di lettura del territorio unica, con una fine conoscenza geologica e micro-climatica di ogni singola parcella. Altrimenti non si spiegherebbe la scelta del suo Cros Parentoux.

Nato nel 1923 è purtroppo scomparso il 23 settembre 2006, proprio il giorno dell’inizio delle vendemmie in Côte d’Or. Aveva iniziato a occuparsi delle vigne di famiglia nel 1942 durante la Seconda Guerra Mondiale, quando i due fratelli furono chiamati alle armi. Iscritto alla facoltà d’enologia di Digione poté imparare direttamente da René Engel, uscendo convinto di volere produrre vini d’alto spirito. Tra il 1945 e il 1988 si prese cura in prima persona delle vigne del Domaine Méo-Camuzet a Vosne-Romanée, ma allo stesso tempo elevò alla massima grandezza le sue parcelle di Echézeaux, Richebourg e Vosne Romanée Cros-Parentoux. Questi rari vini sono divenuti un mito e alle vendite all’asta sono tra i più ambiti al mondo: una bottiglia di Richebourg 1978 fu battuto per più di 10′000 €. Nel 1995 Henri Jayer si ritira dall’attività e le sue vigne entrano a far parte del patrimonio viticolo dell’azienda del nipote, Emmanuel Rouget.

Mise l’accento sul termine “terroir”, cercando di divulgare quanto già affermato dai monaci Cistercensi prima della Rivoluzione Francese. Secondo il suo pensiero i vini, avendo come unico interprete il pinot noir, dovevano essere in grado di tradurre la complessa e variabile natura dei suoli. Grande “vigneron”, ha sempre creduto che il lavoro alla vigna sia il punto fondamentale per ottenere frutti di grande qualità. Era favorevole a un pinot succoso, equilibrato e fresco, quindi molto attento ai tempi di raccolta che non dovevano superare la giusta maturazione. In cantina apportò grandi novità: fu un maestro nell’arte dell’affinamento in piccoli fusti, il primo ad utilizzare il 100% di fusti nuovi. Fu un pioniere nella scelta delle uve, apportò fermentazioni accurate e fermentazioni malolattiche spontanee molto lunghe. Tecniche che oggi sono acquisite e assimilate.

Ancora oggi è stupefacente sentire con che coinvolgimento le attuali “star” parlano del loro maestro.

Ecco qualche pensiero rilasciato a Jacques Perrin durante un’intervista. ” Quello che non mi piace in degustazione è la percezione di durezza dei tannini che impediscono di gioire della qualità del vino. Sensazione che vi impedisce di catturare le caratteristiche del vino. Chi produce questo genere di vino dice che bisogna attendere 10 o 15 anni. Sono dell’avviso che il vino deve sempre presentare un giusto equilibrio. Ho dunque modificato il mio modo di vinificare: tannini si ma non troppo, dunque diraspatura totale e legno nuovo. “

Henri Jayer è un personaggio che non morirà mai, ma rivivrà sempre nello spirito dei ” vignerons bourguignons “.